Eloquent and thought-provoking, this classic novel by the Eritrean novelist Gebreyesus Hailu, written in Tigrinya in 1927 and published in 1950, is one of the earliest novels written in an African language and will have a major impact on the reception and critical appraisal of African literature.
The Conscript depicts, with irony and controlled anger, the staggering experiences of the Eritrean ascari, soldiers conscripted to fight in Libya by the Italian colonial army against the nationalist Libyan forces fighting for their freedom from Italy's colonial rule. Anticipating midcentury thinkers Frantz Fanon and Aimé Césaire, Hailu paints a devastating portrait of Italian colonialism. Some of the most poignant passages of the novel include the awakening of the novel's hero, Tuquabo, to his ironic predicament of being both under colonial rule and the instrument of suppressing the colonized Libyans.
The novel's remarkable descriptions of the battlefield awe the reader with mesmerizing images, both disturbing and tender, of the Libyan landscape--with its vast desert sands, oases, horsemen, foot soldiers, and the brutalities of war--uncannily recalled in the satellite images that were brought to the homes of millions of viewers around the globe in 2011, during the country's uprising against its former leader, Colonel Gaddafi.
Gebreyesus Hailu (1906–1993) was a prominent and influential figure in the cultural and intellectual life of Eritrea during the Italian colonial period and in the post-Italian era in Africa. With a PhD in theology, he was vicar general of the Catholic Church in Eritrea and played several important roles in the Ethiopian government, including that of cultural attaché at the Ethiopian Embassy in Rome, member of the national academy of language, and advisor to the Ministry of Information of the Ethiopian government.
È stano leggere una storia coloniale dal punto di vista "degli altri", dei colonizzati. Pur ritendolo un capitolo oscuro nella storia di molte nazioni europee, è doloro leggere che quegli "italiani-brava-gente" poi tanto brava non erano.
Era ormai nelle mani dello zio "Italo" - che non ha avuto il dono di un cuore che si commuova neanche per una sorella - e una volta arruolati non c'era alcuna speranza che lo avrebbe rilasciato
E così un giovane eritreo, Tequabo, irretito dalla propaganda, decide di arruolarsi nell'esercito italiano e di combattere in Libia.
Il colonizzato, utilizzato a sua volta come strumento di colonizzazione altrui, era venuto fin qui non per trarre un beneficio per sè o per il proprio paese, ma per sottomettere invece questi conterranei che, anche se distanti, erano pur sempre figli d'Africa
È proprio questa esperienza che lo porterà ad acquisire consapevolezza non solo del dominio esercitato su di lui in modo bieco e crudele, ma anche di quanto si sia prestato al gioco del conquistatore, arruolandosi. Al dolore per una guerra inutile, per la lontananza dei cari, si aggiunge l'anelito alla patria che tanto ricorda i nostri poeti dell'800 e in questo passaggio Manzoni.
Addio terra mia natia che mi hai cresciuto sulle tue distese verdeggianti, sulle tue ombre apriche! Addio mie lande solitarie dove ho trascorso le notti, con il mio bestiame e i pastori
“Il colonizzato, utilizzato a sua volta come strumento di colonizzazione altrui, era venuto fin qui non per trarre beneficio per sé o per il proprio paese, ma per sottomettere invece questi conterranei che, anche se distanti, erano pur sempre figli d’Africa.”
L’ascaro di Hailu è una lettura che lascia il segno. Tequabo è un giovane habesha cresciuto con il mito degli ascari, i soldati coloniali al servizio dell’Italia. Ha tutto, eppure decide di arruolarsi, inseguendo sogni di gloria nell’esercito italiano in Libia.
Ma il mito si infrange presto. Quello che scopriamo è l’orrore nascosto dietro la cosiddetta “campagna di pacificazione”: una brutale colonizzazione, raccontata a scuola solo di sfuggita, se non rimossa del tutto. La violenza, il razzismo, l’annientamento della dignità umana diventano il vero volto dell’impresa coloniale.
Hailu ci guida, con una scrittura asciutta e incisiva, nel disincanto di Tequabo, che passa dall’idealismo alla consapevolezza di essere solo un ingranaggio sacrificabile, strumentalizzato da un potere crudele. È anche la storia di una famiglia, del dolore muto di chi vede partire un figlio e teme di non rivederlo mai più.
Questo romanzo è una ferita aperta, una riflessione potente sulla nostra memoria collettiva. Il mito degli “italiani brava gente” si incrina pagina dopo pagina.
Un valore aggiunto: il testo è tradotto direttamente dal tigrino, con grande attenzione e rispetto per la lingua e la cultura d’origine. Un romanzo da leggere, condividere e su cui riflettere.
رواية "المجنّد"، للأريتري "غيبريسوس هايلو"، رواية قصيرة novella تقع في 62 صفحة إن استثنينا صفحات المقدمات، موزعة بين أربع فصول، وهي أقرب للقصة، لذا، فهي مكتوبة بلغة مكثفة وبسرد شيق يقفز بك من فصل إلى آخر. بالطبع، لغة السرد هنا كلاسيكية، فقد كُتِب النص عام 1927، ونشرت أول مرة بلغتها الأم "التغرينية" في 1950، ثم ترجمت لأول مرة على الإطلاق إلى الإنجليزية 2012، وإنه لمن دواعي الفخر أن تكون ترجمة فرج الترهوني لدار الفرجاني إلى العربية، هي الترجمة الثانية لهذا النص البديع. تروي القصة حكاية توكوابو الحبشي، الذي جُنّد طواعية لدى الجيش الإيطالي، كي يكون أداة لاستعمار بلاد أخرى، كما استُعمرت بلاده. وتوكوابو ليس شخصية فردية، إذ لا يشعر القارئ بأنه يقرأ حكاية توكوابو فقط، بل حكاية كل المجندين الذين حاربوا الليبيين لأجل مجد روما، لا لمجد بلادهم أو أهاليهم، وهذه بقعة مظلمة في تاريخ أريتريا، تتداخل مع تاريخ بلادنا ويجهلها معظمنا. القصة مبنية على المفارقات الذكية، فالمستعمَر هنا يقتل مستعمَرًا آخر لأجل نفس المستعمِر الذي يضطهدهما معا، ويراهم أقل منزلة من الكلاب! "المستعمِر الذي من أجل إراحة ضميره يعتاد على رؤية الآخر كحيوان، وبشكل موضوعي يميل إلى تحويل نفسه إلى حيوان". أنت تلحظ حكم المجندين من البلدان المحتلة على بعضهم بقسوة، بدل أن يحكموا على عدوهم الواحد. ويبدو هذا جليا في استخدام الروائي لصيغة المبني للمجهول حين يتحدث عما يتعرض له المجندين من ظلم، كيف تُرِكوا، وكيف أُرسلوا، كيف لاموا أنفسهم، وما قيل لهم في أرض العطش والرمال الملتهبة، دون أن تتم الإشارة بوضوح في معظم أجزاء الرواية للإيطالي، وهو أسلوب ذكي وفي محله، إذ لم ينبغ لهم أن يلوموا إلا أنفسهم. "لقد تبين لهم مدى الحمق في مشاركة الآخرين حروبهم دون فائدة لبلدهم." و"كان الليبيون يشعرون باختلاف عميق في قلوبهم فهم يعرفون أنهم سيقاتلون من أجل بلدهم ، وفي بلادهم". ولا تخفى أغرب مفارقة، حين تعجب توكوابو من استماتة هؤلاء الليبيين في الدفاع عن هذه الأرض القاحلة، فيما سلم الأريتريون مراعيهم وأرضهم الخصبة دون أدنى مقاومة للإيطالي حسب قوله، وتساءل: كيف ستكون إذا مقاومة هؤلاء العرب لو كانوا يملكون أرضا كالحبشة؟
رواية قصيرة تنتهي في جلسة، ممتعة ودسمة ومثيرة للمشاعر، أنصح بقراءتها 🙏
There is something of the eternal in this story of the young man going to war. It is simultaneously an anabasis and a katabasis. There are tones in this novel reminiscent of the Iliad, and reverberations of older Tigrinya stories embedded in this one. Even though I have absolutely no familiarity with the Tigrinya language from which this was translated, it is clear that the translation itself is a literary accomplishment, as it reads so beautifully in English. Given the civil war that is now happening in the Tigray province of Ethiopia, this book is all the more relevant.
Un brevissimo libricino in cui c'è dentro tanto. Un romanzo di formazione, storia di un ragazzo che si arruola volontario in una guerra non sua per inseguire sogni di gesta gloriose, salvo poi prendere coscienza non solo di che cosa sia la guerra, ma anche di quanto siano stati e stanno ancora venendo sfruttati, lui e gli altri suoi compagni, dagli stranieri che hanno preso possesso del loro paese e ne sono diventati i padroni. E in questo caso gli stranieri siamo noi, gli italiani. Un romanzo di denuncia, contro le assurdità e le bassezze del colonialismo. Del colonialismo italiano, in particolare, di cui si è sempre e volutamente parlato poco e in termini molto lontani da quella che era la realtà, edulcorando, nascondendo, trasformando, per non far sapere al mondo che quegli italiani brava gente tanto bravi non erano (e non sono). Un romanzo che racconta un presente che fece in tempo a diventare passato prima che riuscisse a vedere le stampe, perché di quelle cose, e in quei termini, non si poteva mica parlare ai tempi, né in Eritrea né tantomeno in Italia. Ma un romanzo che, in qualche modo, parla ancora di oggi: di attraversamenti del Mediterraneo fatti per motivi diversi, ma che con quelli attuali hanno ancora in comune troppo, come quelle scarse - se non nulle - accoglienza e considerazione che gli italiani hanno nei confronti di eritrei, etiopi, libici.
Il giovane Tequabo è di famiglia benestante, non gli manca nulla, e forse anche per questo non ha coscienza di cosa significhi essere dei colonizzati; sogna la guerra come scenario in cui far valere il proprio coraggio e il proprio valore, e che sin da ragazzino sente dire dai suoi compagni che chi rifiuta di andare a Tripoli è una donna, e allora, quando arriva il momento, si arruola volontario nella "campagna di pacificazione" che l'Italia sta compiendo in Libia. Solo dopo essere partito, aver ricevuto la sua uniforme, aver solcato il mare e iniziato a marciare nel deserto opprimente, si rende conto che gli habesha non sono liberi: hanno un padrone, lo zio "Italo", che hanno lasciato entrare nel loro paese senza opporsi e che adesso stanno aiutando a prendere possesso di un altro paese, andando a combattere per lui contro altri figli d'Africa e ricevendone in cambio... nulla. Non sono soldati come gli altri, sono inferiori, privi di dignità e diritti, nient'altro che carne da macello. Al rientro a casa il punto di vista di Tequabo è completamente cambiato, non è più in grado di accettare quanto tutti loro stanno subendo. “Persone senza padrone! Possano gli habesha essere persone senza padrone”. La nostra coscienza è morta. Possa giungere un’epoca che la risollevi!”
Quel che più mi è piaciuto di questo breve testo è che, pur lanciandosi (giustamente) in critiche e denunce dirette e senza filtri contro i padroni italiani, mantiene tuttavia toni sembra pacati, talvolta didascalici e a tratti quasi poetici; l'autore ci prende per mano in questo viaggio al fianco di Tequabo, descrivendoci la meraviglia da lui provata nella scoperta di nuovi paesaggi e realtà, lo sconforto nel prendere coscienza della realtà, il dolore dell'affrontarne le conseguenze. In poche pagine dice tutto quello che va detto, tocca il cuore del lettore e apre gli occhi anche a lui. Perché, ad esempio, anche se sapevo che nelle colonie d'Africa l'Italia ha solo preso e oppresso, non sapevo nulla dell'utilizzo di eritrei ed etiopi per la conquista della Libia, e delle modalità di questo utilizzo (senza virgolette, perché gli habesha sono stati davvero considerati nient'altro che oggetti, o armi). Nell'interessante postfazione presente in questa edizione (così come interessanti sono anche prefazione e introduzione, utilissime per capire il contesto dell'opera) si racconta come il motivo per il quale si è giunti (con estremo ritardo) alla traduzione italiana di questo testo, era il desiderio di "affrontare una storia che è stata cancellata e nascosta, e allo stesso tempo non rimettere in circolo immagini violente o creare uno «spettacolo della sofferenza»." E beh, credo che la pacatezza e la fermezza di questo romanzo raggiungano lo scopo in maniera a dir poco perfetta.
Un relato lírico y emocional de la experiencia de un soldado mercenario captado por su metrópoli para luchar en una tierra desconocida. Un placer llegar a este libro.
تعد رواية "المجند" للكاتب الإريتري غبريسوس هايلو، التي كتبت في عام 1927 ونُشرت في عام 1950، علامة فارقة في تاريخ الأدب الإريتري. تكشف الرواية عن الصورة المدمرة للاستعمار الإيطالي، حيث يستعرض الكاتب كيف استُغل الإريتريون كأداة في الصراع الاستعماري، مُجبرين على المشاركة في قتال المقاومة الليبية على الأراضي الليبية. من خلال هذا السرد، يبرز هايلو التبعات النفسية والاجتماعية للاستعمار، مما يجعل روايته ليست مجرد عمل أدبي، بل وثيقة تاريخية تعكس معاناة الشعب الإريتري والليبي تحت نير الايطاليين. في وصفه لليبيا، ينسج هايلو مشهدًا قاسيًا يعكس حرارة الرمال المتوهجة، حيث لا تُسجَّل سوى قسوة الجفاف وغياب الحياة، إنعدام ال��ياه، واختفاء الأشجار واللون الأخضر، الصحراء الشاسعة التي تمتد بلا نهاية، ووصف وحشية الجنود الليبيين في زمن الحرب، وبرز أساليب قتالهم القاسية التي تعكس الفوضى والفزع. وعندما ينتقل الكاتب لوصف وضع الإريتريين في ليبيا، تتجلى معاناتهم من العطش والموت والمجاعة والمهانة، فهؤلاء الجنود لم يقاتلوا دفاعًا عن أنفسهم، بل كانوا أدوات في يد الاستعمار الإيطالي الذي تجاهل مصالحهم. تُصوَّر مشاهد هروب الإيطاليين وتركهم الإريتريين في مواجهة موجات العطش القاسية، حيث مات الكثيرون عطشًا، بينما ينعم القادة الإيطاليون بنوم هادئ في أوطانهم، مما يعكس عمق اللامبالاة التي شهدها الإريتريون، هذا التباين بين معاناتهم وراحة المستعمرين يعكس فداحة الاستغلال الاستعماري الذي عانوا منه.
يقول هايلو "يعتقد البعض أنا محاربة الليبيين نيابة عن الإيطاليين وعبادته من على وجه الأرض أمر جائز لأن العرب والأفارقة السود بينهم عداوة تاريخية. لكن ما يجري الآن سيؤدي في يوم من الأيام إلى الوقوع في المأزق نفسه. فإذا جاءوا إلى بلدنا في يوم من الأيام لقتالنا بقيادة فرنسي أو إيطاليا ما، ألا يعلم أهل الحبشة أن الليبيين سوف يقومون بالانتقام ؟ ألا يعلمون أن الليبيين سيخبرون أطفالهم، جيلاً بعد جيل، أنهم مهما نسوا فلا يجب أن ينسوا الدماء التي أراك الأحباش ؟ وأن إراقة الدماء هذه ستستمر إلى الأبد ؟"
العرب من وجهة نظر الأحباش
يقدم الكتاب مجموعة من المعلومات التي نادرًا ما نقرأها أو نلاحظها حول آراء الإريتريين تجاه العرب، حيث ذكر هايلو "إن أسوأ إساءة عربية يذكرها أي حبشي عائد من أسره في بلاد العرب، هي إجباره على شرب حليب الإبل. وكانت هناك حاجة إلى الكثير من الصلاة والتطهير الشعائري بالماء المقدس من قبل أولائك الذين شربوا الحليب." "يعتبر أن أي مسيحي شرب حليب الإبل، فقد اعتنق الإسلام." وذكر "كان العرب معروفين بكون مهملين عندما يتعلق الأمر بالعمل لتلبية احتياجاتهم الأساسية من الغذاء، وهذا الإهمال ينبع بلا شكل من وراثة ما يسمى بالخمول."
It is a misfortunate tale of Eritrean youth in the early 19th century. History indeed repeats itself. I can compare this book's story with the current Eritrean migration crisis. The separation anxiety, the longing for happiness, and the desolation in these young hearts were evoked by Saudade. This is a very small book but contains rich content.
Vroege Afrikaanse novelle over Eritreeërs die vrijwillig voor hun Italiaanse kolonisator vochten tegen door de eveneens door Italië gekoloniseerde Libiërs. Als een werk van fictie laat het te wensen over (te vluchtig, gebrek aan focus) maar inhoudelijk is het interessant.
L’Ascaro è un interessante romanzo breve, scritto nel 1927 dal teologo eritreo Ghebreyesus Hailu e pubblicato solo una quindicina di anni dopo, che in modo quasi disarmante smonta l’assioma degli ”italiani, brava gente. Da un certo punto di vista è quasi un testo pedagogico per la tendenza del narratore esterno a interloquire anche con il lettore e a fornire spiegazioni, aspetto che talvolta risulta un po’ spiazzante. Una volta tanto prefazione, introduzione e postfazione risultano strumenti preziosi per inquadrare e approfondire l’argomento.
Non si tratta di un racconto autobiografico, anche se, come scrive Hailu nel prologo, ”rispecchia le emozioni che provai quando, diciottenne, attraversai il mare per recarmi in Italia a compiere i miei studi. Allo stesso tempo è manifestazione del ricordo dei miei fratelli arruolatisi nell’esercito coloniale che in quello stesso periodo attraversavano lo stesso mare.”
Nella colonia eritrea, il giovane Tequabo subisce, come molti altri giovani eritrei, il fascino irrazionale collettivo dell’arruolamento nelle fila degli Ascari che saranno utilizzati nelle campagne di Libia tra il 1922 e il 1932, la cosiddetta ”campagna di pacificazione”
”Erano tempi, quelli, in cui il sangue degli habesha scorreva copioso per via della guerra che era in corso in un luogo chiamato Tripoli. Durante le danze i giovani cantavano con la testa eretta: “Chi rifiuta di andare a Tripoli è una donna! Chi rifiuta di andare a Tripoli è una donna!” E in risposta i ragazzini non ancora in età di leva cantavano: Tripoli aspettaci che cresceremo per te. Tequabo sentiva tutto ciò e si interrogava. Aveva una mente acuta e si chiedeva quale fosse il senso di tutta quell’eccitazione. Tuttavia, essendo figlio della sua epoca, con il passare del tempo tutto quel parlare e cantare di Tripoli a poco a poco contagiò il suo cuore.”
Nella ”campagna di pacificazione” gli Ascari eritrei furono impiegati anche nelle violenze e negli scontri più brutali. Come riporta nella prefazione la scrittrice di origine etiope Maaza Mengiste, ””Campagna di pacificazione” è un’espressione decisamente inadeguata per indicare quello che è successo in Libia. Ma per gli italiani era perfetta: aiutava a nascondere le molte devastazioni subite dai libici con un linguaggio dimesso. Era anche un tentativo di riscrivere ciò che gli altri avrebbero poi detto di quella guerra in futuro; insisteva sul fatto che la violenza coloniale non era altro che una risposta a un aggressore di pari livello, un atto di autodifesa volto a pacificare un’aggressione, e non un’occupazione che cercava di sterminare tutti coloro che provavano a resistere alla sottomissione. Quell’espressione aveva lo scopo di imporre alla memoria collettiva un’immagine precisa dell’Italia, intendeva definire la nazione controllando il linguaggio e deformando la storia.”
Per Tequabo si tratterà di una violenta esperienza di disvelamento e presa di coscienza: da un lato la domanda su come sia potuto succedere che il suo paese non abbia opposto resistenza all’occupazione italiana e l’abbia accettata anche al prezzo di partecipare alle imprese coloniali dell’occupante, dall’altro la coscienza dell’orrore della guerra e di essere diventato uno strumento nelle mani altrui, ”Abbiamo assistito in silenzio all’italiano che entrava nel nostro rigoglioso paese. Non solo! Come fosse cieco lo abbiamo accompagnato, come fosse un bambino ai suoi primi passi lo abbiamo guidato dentro al nostro paese applaudendo, e ora lo aiutiamo a prendere questa terra desolata. Dopo avergli lasciato conquistare il nostro paese ora contribuiamo a fargliene conquistare un altro. Abbiamo perso il nostro paese e ora li aiutiamo a far perdere le terre ad altri.”
Annullati come schiavi, decimati in battaglia, dalla fatica e dagli stenti, è nell’epilogo finale che Hailu, senza reticenze, smaschera l’imperialismo razzista italiano: ”E oggi, se l’italiano ci umilia o ci percuote stiamo zitti; alcuni addirittura sembra che lo considerino un gesto d’amore. Ah, la nostra coscienza è morta. Gli italiani, come quando uccidono una zanzara, se mentre guidano le loro macchine si trovano di fronte un nero sulla strada passano oltre schiacciandolo senza prendersi il fastidio di fermarsi. […] L’italiano fa di noi ciò che vuole e proprio non ha alcuna paura di noi. “Persone senza padrone! Possano gli habesha essere persone senza padrone”. La nostra coscienza è morta. Possa giungere un’epoca che la risollevi!”
Afrikansk kortromanklassiker om eritreanske soldater indskrevet som lejetropper i den italienske kolonimagts hær i begyndelsen af det 20. århundrede. Interessant i kraft af det historiske tema og romanens status som en af de allerførste romaner skrevet af en afrikansk forfatter. Fra en litterær betragtning ikke uden kvaliteter og raffinementer, men heller ikke uden mangler.
Esta fue la primera novela escrita en lengua tigriña, en 1927. Fue prohibida por los italianos y no se publicó hasta 1953. Narra las experiencias de los áscaris eritreos reclutados por los italianos y obligados a luchar en Libia contra las fuerzas nacionalistas que perseguían su libertad. Un relato desgarrador de lo que supuso el colonialismo italiano. Un hecho del que se conoce poco, de ahí que esta obra cobre un valor muy relevante como testimonio anticolonialista. Además, es una de las primeras novelas escritas en una lengua propia de África.
Un piccolo gioiello che tutti dovrebbero leggere. Questo libricino dovrebbe essere letto nelle scuole perché tratta un argomento forse vagamente accennato nei libri di scuola. Il colonialismo Italiano. Questo racconto ci fa fare i conti con il nostro passato. Di invasori. grazie anche alla prefazione, le note e la postfazione possiamo arricchire la nostra conoscenza anche vedendo il mondo con gli occhi delle popolazioni Etiopi ed Eritree.
A great read. It’s not that long, but truly shows the spirit and tribulations of an Ascari, an Eritrean conscript fighting for Italy during their war in Libya. The last chapter in particular is packed full of eloquent writing and emotion. Definitely highly recommend to anyone who enjoys war novels and is one of the few on this particular topic.
The prefatory material makes it sound like we should reconsider whether Achebe is the beginning modern African literature, and possibly consider this. While this is a good work to know about in the canon, its actual relationship to Achebe is more like Lermontov to Dostoyevsky.
(من يحض على أرض أجنبية معركة ليست معركته، وليس من أجل عائلته أو شرف وطنه، فعندما يُحتضر بفعل رصاصة من عدو غاضب لا يمكنه عندها أن يقول: « أوه! يا بلادي العزيزة ها هي الحياة التي أعطيتها لي، وها أنا أعود إليكِ»..
It's not necessarily my cup of tea. I understand the writer is coming from a different artistic canon and can see the value in his story. Still, the delivery felt too odd and choppy to sympathize with the characters.
rly well written, i loved the way the story was told and how the narrator seemed like an actual person. but content wise it was so heartbreaking, it puts things into such a way that makes the book so sad. struggle for no reason.
Concise and simple, this is a good quick to read novel of colonised life. Nothing life changing but a succinct and interesting read that also provides an interesting historical context of early African novels
Very short (56 pages) but excellent. The introduction by Laura Chrisman is about half the length of the novel (novella, really); it's also, of course, far more erudite and smart than anything I could write, though I did feel smarter for reading it. One interesting point she makes is how much of a distortion it is to think (as we in the "Euro-American metropole" have tended to) of Things Fall Apart as the first African novel, in part because it suggests that novels were written only in the period of decolonization, and also in that the focus has been on Europhone writing: The Conscript is translated (by Ghirami Negash) from Tigrinya, and was written in 1927, though published in 1950, before this 2013 English edition. The Conscript is a beautifully told, fiercely yet complexly anti-colonial novel. Italian imperialism is most certainly a cruel villain, but what's interesting is how far Hailu implies that Tigrinya traditions and ideologies (particularly of masculinity and war) play into the hands of the colonials. Hailu centers the story on one son, Tuquabo, but very often he loses sight of the individual, and the story is very much one of a community in which similar stories are being played out repeatedly.
Hailu presents prejudice in various forms. When the conscripts stop off in Sudan, both sides look at each other askance. When they arrive in Libya to fight, they learn of various stereotypes of Arabs, quickly belied in the conflict. And in any event, the Eritrean conscripts have already intuited that the Arabs are not their real enemy. And Hailu cleverly inserts an Italian poem to show that the Italians are betraying their own ideals, in treating the Eritreans like animals, Leopaldi lamenting, ironically, the wretchedness of "He who fights on a foreign soil another man's war/Not for his family or his country's honor." But as the disembodied voice that tells the conscripts that the Arabs are not their enemy suggests, it is possible to get beyond prejudices and to empathize. As the narrator says of getting burned in the hot sand of the desert: "Anyone who went through this experience like me will know; those who have not experienced it can, however, contemplate it with an open heart."