Vita in carcere, il difficile percorso verso una seconda possibilità
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
In diciannove parole il terzo comma dell’art. 27 della nostra Costituzione indica la via per affermare due valori primari: la dignità e il riscatto. Chi viene condannato ad una pena detentiva deve poter vivere umanamente la sua pena ed avere una seconda possibilità. Lo deve a se stesso, lo deve alla società.
Ma negli istituti penitenziari italiani le condizioni di vita non sempre agevolano questi percorsi; dignità e riscatto hanno la rapida dissolvenza della luce del sole dietro le sbarre.
Il prossimo 19 maggio dal carcere di Bollate saranno inaugurati gli “Stati generali dell’esecuzione penale“, un semestre dedicato ai temi della detenzione, promosso dal Ministero della Giustizia per giungere ad una riforma della vita carceraria in Italia.
L’esigenza di un intervento riformatore al sistema carcerario italiano era emersa pubblicamente all’inizio del 2013, quando il nostro Paese incassò una durissima condanna dalla Corte europea dei diritti umani per violazione dei diritti dei detenuti. Meno di 3 metri quadrati a disposizione per vivere in cella: un trattamento riconosciuto inumano e degradante per sette carcerati detenuti nel carcere di Busto Arsizio e di Piacenza che avevano ricorso al tribunale di Strasburgo. Per il nostro Paese una condanna a pagare 100 mila euro di risarcimento per danni morali. Oltre ad un ultimatum: un anno di tempo per rimediare alla situazione carceraria ed in particolare al sovraffollamento.
Alla fine del 2013, i detenuti nelle carceri italiane erano 62.536. I carcerati al 28 febbraio 2015 erano 53.982. Ancora troppi rispetto ai posti letto regolari che sono 49.943. Significa che in Italia ci sono 108 detenuti ogni 100 posti letto, ma il rapporto sale a 118 se si tiene conto dei reparti chiusi per manutenzione.
La fotografia puntuale emerge dall’XI Rapporto sulle condizioni detentive in Italia, redatto dall’associazione Antigone, che dal 1998 è autorizzata ad entrare, visitare e raccogliere dati, foto e video negli oltre 200 istituti di pena italiani.
La sentenza della Corte europea ha costretto l’Italia ad accelerare il passo: gli stranieri non vanno più in carcere per violazione dell’obbligo di espulsione del Questore, ci sono nuove norme in materia di arresto e custodia cautelare. Si va meno in galera per violazione delle norme sulle droghe. In quattro anni ci sono state 9.253 imputazioni in meno per motivi di droga, dopo l’abrogazione da parte della Corte Costituzionale della legge Fini-Giovanardi.
L’equazione-slogan “carceri piene, strade più sicure” è saltata. A fronte infatti della diminuzione dei detenuti non c’è stato alcun aumento proporzionale del tasso di delittuosità.
Ma si può fare ancora molto. Secondo il rapporto Antigone, si potrebbero avere 10 mila detenuti in meno e un risparmio di 100 milioni di euro con la depenalizzazione delle droghe leggere, come sta accadendo negli Stati Uniti dove la legalizzazione della cannabis in Colorado e nello stato di Washington ha portato oltre 800 milioni di dollari di nuovi introiti fiscali, sono diminuiti del 4% i reati connessi ed anche il consumo è diminuito del 24%, con un taglio agli introiti per le mafie del narco-traffico.
A questi temi si affianca quello ancor più complesso dei percorsi rieducativi. La possibilità di riscatto per un detenuto arriva spesso dall’opportunità di lavorare. Ma lo scorso anno sono state poco meno di 4000 le posizioni aperte per lavori di pubblica utilità grazie alle convenzioni con gli enti locali; così come alla diminuzione del numero di carcerati non è corrisposto un maggior numero di condannati in affidamento in prova ai servizi sociali, la via privilegiata per riuscire a reinserirsi nella società.
Redazione – Si.S
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